"Organi storici e
temperamento nella liturgia attuale"
Edoardo Bellotti
Organista - Docente di Organo Liturgico all'Università di
Trossingen
1. Premesse
Le brevi riflessioni qui proposte, derivanti da
oltre vent’anni di esperienza diretta come organista, maestro
di cappella, insegnante di organo liturgico in Italia e all’estero,
intendono affrontare il problema del temperamento degli organi antichi
in relazione al loro impiego nella liturgia attuale.
La questione degli strumenti di nuova costruzione,
delle nuove filosofie costruttive – organo moderno, organo replica,
organo neo-barocco – esula perciò completamente dal presente
contesto.
Il problema dell’organo antico si pone in
modo evidente allorché ci si trova di fronte a strumenti con
temperamento mestonico, 1⁄4 di comma o modificato, in parole
più semplici, a strumenti con i quali non è possibile
spaziare lungo l’intero circolo delle tonalità (come
nel moderno temperamento equabile), ma in un ambito più ristretto,
che va da 2 – 3 bemolli a 2 – 3 diesis in chiave.
La domanda qui posta è se questi strumenti
possano essere adeguatamente utilizzati nell’attuale liturgia
o no.
Pochi anni or sono un organaro italiano mi raccontava
che nella splendida Basilica di Collemaggio a L’Aquila, durante
la celebrazione della messa un religioso accompagnava i canti con
un orribile pianola elettronica. Notando la presenza nella chiesa,
proprio di fianco all’altare, di uno stupendo organo seicentesco
(recentemente restaurato), dopo la messa l’organaro aveva chiesto
al frate come mai non avesse suonato quell’organo invece della
pianola. La risposta del frate fu: l’organo antico va bene
solo per i concerti, questo invece è liturgico.
Gli strumenti antichi vanno dunque considerati pezzi da museo, utilizzabili
nel migliore dei casi per concerti, ma assolutamente inadatti a svolgere
la funzione per cui sono stati costruiti, cioè la liturgia?
2. L’organo, strumento liturgico
“Sarà dunque figliuolo mio il primo
avviso & avvertimento l’arricordarsi che gli organi sono
fatti per servir nella Chiesa, che è casa di Dio; […]
l’organista è a guisa di Chierico che risponde al Sacerdote
celebrante, e perciò deve usar diligenza, come s’è
detto di risponder a proposito, imitando il canto fermo o figurato,
come si ricerca a giudicioso e perito Organista, cercando di non esser
né troppo lungo né troppo breve, ma per quel tempo che
solo conviene alle risposte delle parole, o versi longhi o brevi”.
Le parole di Costanzo Antegnati, tratte dall’Arte Organica,
Brescia, 1607, definiscono in modo chiaro il ruolo e la funzione dell’organo
e dell’organista, entrambi inequivocabilmente legati alla Chiesa
ed alla Liturgia. Gli organi nelle chiese sono, ieri come oggi, parte
integrante dell’arredo sacro nonché della liturgia: separarti
da questo contesto perdono di significato, come perde di significato
qualunque composizione musicale nata con e per la liturgia.
Ma che cosa chiede oggi la liturgia all’organo?
Tutti conoscono quanto il Concilio Vaticano Secondo ha detto a proposito
della musica sacra e dell’organo nella costituzione sulla Liturgia Sacrosanctum Concilium: cito brevemente i n.112 e 120:
“La tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio
di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte,
specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è
parte necessaria ed integrante della liturgia solenne”. (112)
“Nella Chiesa latina si abbia in grande onore
l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono
è in grado di aggiungere una notevole grandiosa solennità
alle cerimonie della Chiesa e di elevare potentemente gli animi a
Dio e alle cose celesti” (120)
Dalla fine del concilio ad oggi molti sono i documenti che, a diverso
titolo, si sono occupati della Liturgia e della Musica sacra. Tra
essi propongo due brevi citazioni:
1) Nella lettera della Congregazione per il Culto Divino del 5 novembre
1987, che si occupa del problema dei concerti nelle chiese, a proposito
dell’organo, si legge:
“Nel passato l’organo sostituiva la partecipazione attiva
dei fedeli e riempiva l’assenza di chi era spesso muto ed inerte
spettatore della celebrazione. Oggi l’organo accompagna i canti
sacri dell’assemblea e della schola durante le celebrazioni.
È sommamente importante che in tutte le chiese, ma specialmente
in quelle puù insigni non manchino musicisti competenti e strumenti
musicali di qualità. Si abbia cura in particolare degli organi
di epoche passate, ma sempre pregevoli per le loro caratteristiche”
2) Nell’istruzione Musicam sacram, che nel 1967 intendeva
attualizzare gli orientamenti espressi dal Concilio, al capitolo VIII
si legge: “Nelle messe cantate o lette si può suonare
l’organo per accompagnare il canto dei fedeli e della schola
od anche da solo prima che il sacerdote si rechi all’altare,
all’offertorio, alla comunione e al termine della Messa”.
Da questa breve scorsa dei documenti ecclesiali si evince che
la funzione dell’organo richiesta dalla liturgia attuale può
essere ricondotta a tre aspetti:
1) L’accompagnamento del canto dell’assemblea
2) L’accompagnamento della schola
3) L’esecuzione di brani solistici in alcuni
momenti del rito
Torniamo alla domanda d’inizio: gli organi
storici con temperamento mesotonico possono adeguatamente adempiere
a questa triplice funzione, cioè accompagnare il canto dell’assemblea,
quello della schola e suonare brani da soli?
Per quanto riguarda l’ultimo aspetto, penso
non ci sia difficoltà a dare risposta affermativa: l’organista
è in grado di capire che su uno strumento con temperamento
mesotonico non potrà eseguire Messiaen o Franck, ma piuttosto
altre pagine ugualmente liturgiche scelte in oltre tre secoli di letteratura
organistica.
Per quanto riguarda l’accompagnamento della
schola va sottolineato come la liturgia non chieda alla schola di
eseguire Perosi o Bach, Mozart o Palestrina: il direttore opterà
per una scelta di brani che ben si adattano ad essere accompagnati
da uno strumento con temperamento mesotonico, avendo a disposizione
anche in questo caso ben tre secoli di letteratura e senza contare
che anche molti brani contemporanei opportunamente scelti nelle tonalità
adeguate possono essere eseguiti con l’accompagnamento di uno
strumento mesotonico.
Da ultimo rimane l’accompagnamento del canto
assembleare, aspetto fondamentale perché legato alla partecipazione
attiva dei fedeli che il concilio ha rivalutato e promosso.
Credo che la questione debba essere posta nei termini seguenti: quali
canti scegliere per l’assemblea? La liturgia sottolinea ripetutamente
che non si canta “nella messa” ma si deve cantare “la
messa”; in altre parole la partecipazione dell’assemblea
non consiste nell’esecuzione di qualche canto infilato a caso
in alcuni momenti del rito e scelto sulla base dei gusti della medesima,
del sacerdote celebrante o del direttore del coro, ma in primo luogo
nel cantare i testi della Messa, come l’Ordinario (Kyrie, Gloria,
Sanctus, Agnus Dei), l’acclamazione al vangelo, il ritornello
del salmo responsoriale, le risposte al celebrante (queste ultime
di norma non vanno accompagnate dall’organo). È noto
che per far cantare l’assemblea occorre proporre melodie semplici,
facilmente orecchiabili, evitando brani atonali, con frequenti e difficli
modulazioni o ritmicamente complessi.
Le melodie degli antichi corali in lingua tedesca o francese (molti
dei quali tradotti in italiano), i canti popolari nonché i
nuovi canti liturgici composti da musicisti che sanno combinare felicemente
la tradizione antica alla semplicità, possono venire accompagnati
senza problemi anche da un organo mesotonico trasportando i brani,
se necessario, nelle tonalità più adeguate all’organo
e all’assemblea.
Personalmente ho avuto a disposizione per diversi
anni nella cattedrale di Pavia, essendo inutilizzabile il grande strumento
elettrico a tre manuali, solo un positivo di scuola napoletana con
temperamento mesotonico: non ho mai avuto difficoltà sul piano
liturgico sia nell’accompagnamento dell’assemblea che
in quello della schola. Certo, si trattava di scegliere il repertorio
in modo oculato: ma, ribadisco ancora una volta, la liturgia non richiede
all’organista di eseguire Perosi o Frescobaldi, Mozart o Palestrina,
Orlando di Lasso o Vittadini, ma di accompagnare dignitosamente il
canto dell’assemblea e, quando suona da solo, aiutare l’assemblea
ad entrare nell’atmosfera della celebrazione, cosa che gli organisti
del passato hanno tra l’altro sempre egregiamente fatto non
eseguendo partiture scritte ma improvvisando.
3. Conclusione
Gli antichi organi – un patrimonio che
nella nostra penisola è quantitativamente e qualitativamente
enorme – anche quelli con temperamento mesotonico, sono in grado
ancora oggi di svolgere pienamente la loro funzione liturgica: all’organista
è affidata la responsabilità di saper scegliere il repertorio
più idoneo.
Ma vorrei dire di più: gli accordi con la terza pura –
tipici del temperamento mesotonico – sono in grado con la loro
fermezza di sostenere l’intonazione dell’assemblea e della
schola molto più dell’accordatura equabile. Anche per
questo motivo troviamo in tutta Europa organi del secolo XVIII intonati
ancora con il temperamento mesotonico: cito, tra i più famosi,
gli organi di St. Urban in Svizzera (Josef, Bossard, 1721) e di Maihingen
in Germania (Johann Martin Baumeister (1737). Ma gli organari italiani
ancora nell’ottocento – quando il canto popolare accompagnato
dall’organo cominciava ad estendersi dalle celebrazioni devozionali
alla liturgia ufficiale – accordavano in questo modo parecchi
nuovi strumenti.
Il problema fondamentale nella chiesa italiana attuale
non è perciò rappresentato dall’organo, ma dalla
formazione musicale e liturgica dell’organista. In Germania,
dove insegno, ci sono specifiche cattedre di musica liturgica –
cattolica e protestante – per formare gli organisti e i direttori
di coro che, solo dopo aver ottenuto il diploma, possono concorrere
per un posto ufficiale presso una chiesa.
In Italia stiamo pagando ancora oggi – e non solo in campo musicale
– il fossato tra cultura religiosa e cultura laica scavato dalla
particolare situazione politica post-risorgimentale: in campo musicale
tuttavia sono molte e promettenti le iniziative nate negli ultimi
anni per una riqualificazione della cultura musicale e liturgica e
per la formazione degli organisti.
Mi piace concludere ritornando alla citazione di
Costanzo Antegnati che definiva l’organista “a guisa di
chierico che risponde al sacerdote celebrante”. Oggi l’organista
non è un chierico ma svolge, secondo la teologia liturgica,
un vero e proprio compito “ministeriale” che richiede
preparazione, competenza e dedizione. Solo in questo modo l’organo,
anche quello a temperamento mesotonico, può essere adeguatamente
valorizzato sia all’interno della liturgia - suo luogo specifico
– sia mediante adeguate iniziative culturali come meditazioni
musicali, concerti e attività didattiche che concorrono alla
sua valorizzazione e fruizione da parte di un pubblico sempre più
vasto.
Edoardo Bellotti
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